Osteopata Sport – La Sindrome della Bandelletta Ileotibiale

La “Sindrome della Bandelletta Ileotibiale”, si pone tra gli infortuni più comuni nell’ambito del ciclismo e non solo. E’ largamente diffusa anche tra i podisti a causa della ripetitività del gesto “corsa”.  Vediamo come riconoscerla e come curarla, in particolare modo in relazione al ciclismo, con l’aiuto dell’osteopatia e sfidando lo spauracchio più grande dello sportivo amatoriale: il riposo

In ragione del sempre più elevato numero degli sportivi praticanti, la consapevolezza dell’esistenza della sindrome della bandelletta e delle sue possibili cure assume una grande rilevanza. Conoscerne i sintomi e i relativi rimedi può accorciare il periodo di stop dall’attività e ridurre le sofferenze, consentendo, talvolta, di evitare il ricorso a molteplici esami strumentali, nonché all’assunzione di farmaci con conseguenti controindicazioni e costi che possono incidere e gravare sia sul singolo individuo che sul Sistema Sanitario Nazionale.

Il tutto con tangibili benefici sulla qualità di vita personale, professionale e di relazione di ciascun atleta.

Il protrarsi di una situazione irritativa nel tempo, soprattutto se trascurato, può determinare una vera e propria patologia che potrà causare a sua volta una modificazione morfostrutturale delle parti osteo-articolari.

La Bandelletta Ileotibiale è il tendine comune di due muscoli, il grande gluteo e il muscolo tensore della fascia lata. Si inserisce sulla faccia esterna della tibia, subito al di sotto dell’articolazione. Nel suo decorso, essa passa superficialmente ad una protuberanza ossea detta epicondilo laterale, da cui è separata da una borsa sierosa di scorrimento.

La sua funzione è quella di rendere stabile la componente antero-laterale del ginocchio.

La Sindrome della Bandelletta è dunque un processo di tipo infiammatorio da iperfrizione a carico della zona ileotibiale (tanto da essere conosciuta anche come Sindrome da Frizione della Bandelletta Ileotibiale) ovvero l’ultimo tratto della fascia femorale o fascia lata, quella che riveste i muscoli superficiali della coscia. 

Il gesto ripetitivo della pedalata crea un contatto continuo e ripetuto con l’epicondilo femorale alimentando il processo infiammatorio di questi tessuti che sono riccamente innervati. 

Per farsi un’idea del carico che questa zona deve sopportare basti considerare il numero medio di pedalate al minuto che facciamo e moltiplicarlo per le ore di sella che totalizziamo in un anno; ecco quello sarà l’abnorme numero degli sfregamenti di cui si parla!

E’ un disturbo che colpisce ogni  tipo di atleta che si cimenti con attività caratterizzate dalla ripetitività della flesso-estensione dell’articolazione del ginocchio.

Si tratta di una sindrome scaturente da un concorso di fattori predisponenti di carattere soggettivo e oggettivo nonché condizioni di tipo sportivo.

I fattori predisponenti cosidetti soggettivi sono essenzialmente quelli di natura anatomica che portano a condizionamenti dell’attività biodinamica come ad esempio il varismo del ginocchio, la pronazione del piede, la prominenza dell’epicondilo femorale laterale, la dismetria degli arti inferiori. 

I fattori predisponenti di carattere oggettivo sono: allenamenti improvvisati, materiali non idonei, cattivo posizionamento in sella, errato posizionamento delle placchette, condizioni climatiche estreme.

Le condizioni di tipo sportivo attengono invece strettamente alla ripetitività del movimento in concorso con i fattori di cui sopra e sono in stretta correlazione con l’aumento dei carichi di lavoro; ecco perché si può serenamente parlare di sindrome da sovraccarico. 

Essa si manifesta con un dolore sul comparto laterale esterno del ginocchio durante l’attività.

Trattasi, soprattutto agli inizi, di un dolore subdolo, circostanza che, se trascurata, porta ad un aggravarsi tempestivo dei sintomi rendendo di conseguenza più lungo il recupero, poiché non impedisce del tutto la possibilità di pedalare; ecco perché risulta assolutamente importante fare molta attenzione.

A questo proposito bisogna considerare che la maggior parte dei ciclisti amatoriali è portata erroneamente a sottovalutare l’insorgenza dei dolori soprattutto quando questi si manifestano in maniera tale da non compromettere del tutto la possibilità di allenarsi e di gareggiare.

Questa errata e pericolosa convinzione è dettata soprattutto dall’ostinazione, dalla voglia di mettersi alla prova e dalla paura di fermarsi; spesso però una breve sosta risulta, in termini di allenamento e conseguentemente di salute, molto più profittevole di una seduta di allenamento forzata.

Il dolore si acuisce con la flesso-estensione sia in carico che in scarico. Nel corso della flesso-estensione si può avvertire una sensazione di “scatto”.

Pur essendo una patologia decisamente molto comune e diffusa, la diagnosi deve essere sempre effettuata da un medico anche perché, soprattutto per quanto riguarda i ciclisti, è molto facile confonderla con la sindrome femoro- rotulea.

Essendo l’osteopatia in grado di ripristinare la corretta biodinamica del tratto considerato e quindi anche di indurre una defibrotizzazione spontanea susseguente al miglioramento della mobilità locale, risulta di valido ausilio sia per il lavoro di riabilitazione e ripristino del corretto gesto atletico, che alla risoluzione del problema algico disfunzionale, che per la riduzione di manifestazioni recidivanti.

La terapia medica è quindi utile per alleviare il dolore e ridurre l’infiammazione nel breve termine, ma non può e non deve essere l’unico trattamento. 

Nel lungo termine sembra essere più efficace un programma combinato con terapia manuale osteopatica anche e soprattutto per scongiurare le probabili recidive che si possono verificare alla ripresa della normale attività sportiva. 

Sì, avete capito bene, alla “ripresa” perché il migliore aiuto per risolvere questo tipo di problematiche, anche se in qualità di atleta mi costa fatica ammetterlo, è ahimè proprio un bel periodo di stop!

Simone Centemero (osteopata)

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